
La Corte di Cassazione, in diverse sentenze, ha rappresentato che gli istituti per il sostentamento del clero, aventi un fine di religione di culto insito, possono svolgere come tutti gli altri enti ecclesiastici attività differenti da quelle istituzionali. Tali istituti che gestiscono il patrimonio immobiliare per reperire mezzi finanziari per il sostentamento del clero, stante la loro specifica finalità istituzionale, ricoprono una posizione particolare rispetto alla generalità della categoria “enti ecclesiastici”. I giudici della Corte di Cassazione hanno presupposto che l’istituto diocesano per il sostentamento del clero, oltre ad attività di religione o di culto, possa svolgere ulteriori funzioni, anche di natura economica, con il fine di produrre redditi del proprio patrimonio attraverso cui provvedere ed integrare, qualora fosse necessario, la remunerazione spettante al clero. Nel concreto l’Ente ecclesiastico istante, oltre a svolgere attività di natura mobiliare e immobiliare per la realizzazione dei fini istituzionali e l’organizzazione delle proprie strutture, può esercitare ulteriori attività in osservanza dei regolamenti e collegate ai fini istituzionali. In questo caso la gestione del patrimonio immobiliare svolta dall’Ente istante non assume rilevanza commerciale poiché manca il requisito dell’imprenditorialità, ma costituisce un semplice godimento del patrimonio in oggetto ed è finalizzata esclusivamente a reperire i fondi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali propri dell’Ente. Pertanto, l’Ente ecclesiastico istante, perseguendo le finalità indicate nell’articolo 1 c. lett. C-bis) D.Lgs. n.153/99 in maniera esclusiva, rientra nella categoria degli investitori “istituzionali” di cui alla lettera g) del comma 3 dell’art. 32 D.lgs. 78/2010.
Ciò posto, l’Agenzia delle Entrate con risposta numero 18/2025 afferma: “[…] considerato che l’istante assume la qualifica di investitore istituzionale, sui proventi derivanti dalla partecipazione al fondo immobiliare la SGR deve applicare la ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento di cui all’articolo 7 del decreto legge n. 351 del 2001, così come previsto dal comma 3 dell’articolo 32 del decreto legge numero 78 del 2010”.